Dalla Venere di Willendorf alla Balloon Venus di Jeff Koons, dalla leonardesca Mona Lisa a quella di Duchamp, dalla Venere di Milo a quella con cassetti di Dalì, dal Cenacolo vinciano a The Last Supper di Andy Warhol, dal Ritratto di Innocenzo X di Velasquez ai papi urlanti di Francis Bacon. Sono solo alcuni dei più famosi esempi di pratiche in cui l’arte ha guardato all’arte attraverso il gioco della copia, della citazione, della desacralizzazione, della reinterpretazione o della rivisitazione. Opere divenute simboli, icone, perché hanno avuto la potenza di riassumere e di comunicare istanze storiche, culturali, sociali ed estetiche delle società che le hanno generate e che per questo nei secoli sono divenute nuove matrici di ispirazione e di ri-contestualizzazione.
Federica Facchini
Storica dell’arte e giornalista, è docente di Storia dell’Arte Contemporanea e Storia della Fotografia all’Accademia di Belle Arti di Macerata.
Ma un’immagine lo insegue, non lo lascia, torna netta e battente nella mente: la Vergine Annunziata di Antonello da Messina, quella pittura di dimensioni contenute che si trova al Museo Nazionale di Palermo. E’ la Madonna, ma è anche la donna; la luce riflessa radente la rende come un’apparizione priva della gravità eppure non ha i simboli, i distintivi della santità quali le consuete distese d’oro altrimenti l’aureola. Il suo desiderio era, ed è, di conoscerla meglio, pertanto l’ha copiata più volte, poi l’ha fatta sua in varie rielaborazioni, nelle sintesi del disegno e dei colori. Così in tutte le sue “Lei” c’è un’eco ora appena percettibile, ora sonante dell’Annunziata. Comunque questo riferimento all’opera del messinese non è un ostacolo alla creatività. Il condizionamento non è roba di Drudi.
Franco Ruinetti